L’estate successiva, precisamente nel luglio del 2016, Nicolò ed io partimmo per una seconda escursione nel parco abruzzese. Partimmo un venerdì pomeriggio. Raggiungemmo il sentiero scelto nel momento in cui il sole da dietro le montagne e il lago di Barrea ne rifletteva la luce in tante lame luccicanti che creavano uno spettacolo mozzafiato. Affrontammo i 300 metri di dislivello e giungemmo così nella grande valle che già ci aveva accolto l’anno prima. Un maschio di cervo stava a poche decine di metri da noi, e Nicolò partì per andare a catturarne qualche scatto. Io me restai indietro per riposare. Dopo alcuni minuti vidi una mamma cinghiale e i suoi cuccioli che risalivano il sentiero dal fondo valle. Osservavo attentamente le loro mosse e avvertii che la situazione celava un potenziale pericolo: stavano venendo nella mia direzione. Lasciai che arrivassero a qualche decina di metri da me per lanciare un segnale con un urlo. Gli animali scapparono e Nicolò tornò verso di me, arrabbiato per avere “perso” il suo cervo. “Vuoi fare il fotografo naturalista e poi fai scappare così gli animali?” Gli risposi raccontandogli un mio precedente con i cinghiali che potesse giustificare il mio comportamento bizzarro: nel maggio precedente ero andato a fare un’escursione al PNALM con la mia compagna. Mentre percorrevamo un sentiero sotto una leggera pioggia primaverile, ci trovammo inaspettatamente di fronte ad una famiglia di cinghiali, composta da mamma cinghiale e i suoi cuccioli. La mamma era girata di spalle e quando arrivammo ci percepì immediatamente come una minaccia per i piccoli. Noi rimanemmo fermi, per poi iniziare ad indietreggiare lentamente. La manovra non suscitò sicurezza nell’animale, che iniziò la carica verso di noi. Alessandra, la mia compagna, si arrampicò su di un albero, io rimasi fermo sui miei piedi, sperando fino all’ultimo secondo che si fermasse. Per fortuna andò davvero così e la mamma si arrestò a pochi metri da me, richiamando i cuccioli con un grugnito e dileguandosi nella foresta. Avevo sfiorato un attacco in piena regola e non avevo alcuna intenzione di ripetere l’esperienza. Ecco spiegato il comportamento che fece tanto arrabbiare Nicolò.
Dopo dei vani appostamenti ci dirigemmo verso la macchina per rientrare in paese illuminando il buio sentiero con le nostre torce frontali. Occhi brillanti si muovevano nel bosco, rendendo l’oscurità quasi magica. Un tasso? Una volpe? Forse un capriolo ci guardava da lontano. Per un momento mi sentii come dentro una scena del film “Alice nel Paese delle Meraviglie’’. Ci fermammo in uno stazzo e scrutammo con ammirazione le stelle per lungo tempo e scattammo diverse fotografie alla Via Lattea prima di riprendere il cammino verso l’hotel. Eravamo molto stanchi per cui al rientro in stanza ci addormentammo immediatamente.
Al nostro risveglio poco prima dell’alba riprendemmo il percorso con l’intento di dirigerci in un’altra valle. Dopo aver percorso diverse centinaia di metri di dislivello ci trovammo in una valle immensa, con tante rocce su cui poter fare appostamenti e passare più facilmente inosservati.
Un’aquila reale volava maestosa sopra le nostre teste. Nascondemmo gli zaini in un cespuglio ed esplorammo la zona per trovare un buon punto dove fermarci.
Ci dividemmo e dopo un po’ notai che Nicolò aveva trovato qualcosa di interessante. Poco prima c’eravamo dati un “codice di comunicazione a gesti” in modo da potersi esprimere e comprendere anche a distanza senza parlare o far rumore. Il suo cenno fu eloquente... C’erano cinghiali. Ancora! Nicolò decise istintivamente di provare ad avvicinarsi, io lo aspettai in un punto favorevole, dove potevo controllare l’area dall'alto. Lui giocava a nascondino con la famiglia di cinghiali, io mi divertivo nell’osservare la strana dinamica che si era instaurata tra il mio amico e gli animali. Ad un certo punto lo persi di vista proprio quando i cinghiali si radunarono velocemente e, disposti in fila indiana, trotterellando a ritmo sostenuto verso il bosco, scomparvero nel folto della macchia. In quel momento non vedevo più niente. All’inizio pensai che Nicolò avesse potuto in qualche modo spaventarli e farli scappare immotivatamente. Ero curioso: dovevo controllare cosa fosse successo e rendermi utile in caso di necessità. Decisi di avvicinarmi. Camminai per qualche decina di metri e poi d’improvviso vidi una grossa sagoma stagliarsi sul mio cammino, un po’ in lontananza. “Quant’è grande!” pensai “Non ho mai visto un cinghiale così grosso… potrebbe essere un orso?” Mi chiesi al culmine dell’eccitazione. L’adrenalina scorreva e il cuore batteva a mille. Cercai intorno a me un buon punto di osservazione, controllai la direzione del vento e attesi accucciato che qualcosa accadesse. Neanche il tempo di riprendere il fiato che mi si era mozzato in petto, che l’enorme sagoma che avevo scorto poco prima riapparve, spuntando da alcune piante che si trovavano un po’ più lontano. Si trattava senza ombra di dubbio di un esemplare di orso bruno Marsicano, ed era lì davanti a me. Scattai nervosamente alcune fotografie ma la mia attenzione fu catturata quasi subito da un altro soggetto: Nicolò. Tolsi l’occhio dal mirino ottico della mia fotocamera e rimasi a bocca aperta. Nicolò e un orso Marsicano a pochi metri l’uno dall’altro. Era una situazione tanto surreale quanto emozionante. Nicolò ritraeva l’animale con numerosi scatti, al fine di documentare quell’incontro estremamente ravvicinato. L’orso si diresse lentamente verso il folto del bosco ed io, lentamente, iniziai a realizzare l’evento che aveva appena avuto luogo davanti ai miei occhi. Scesi nel fondo della valle per raggiungere il mio compagno mentre lui veniva verso di me. “Non immagini cosa è appena successo!” ansimò. “Non me lo devo immaginare perché ho visto tutto.” Ci abbracciammo forte, suggellando la fine di un momento davvero intenso; eravamo consci di avere vissuto un’esperienza incredibile, incancellabile dal cuore e dalla testa. Nicolò mi raccontò poi che, dopo che i cinghiali si erano dileguati, lui era uscito allo scoperto nelle zone più basse della valle. Aveva poi sentito vaghi rumori alle sue spalle e, nel voltarsi, si era ritrovato la bestia davanti. L’orso aveva annusato l’aria, aveva ispezionato un cespuglio e, ignorando deliberatamente la presenza del mio amico, se ne era andato per i fatti suoi. Se per me si era trattato di attimi folli e pieni di adrenalina, per il mio amico ciò rappresentava il culmine dell’escursione, forse di tutte le escursioni che aveva condotto fino a quel momento.
Tornammo ai nostri zaini e ce ne andammo a riposare, ancora saturi delle emozioni che l’apparizione dell’orso aveva suscitato in noi. Dopo più di un’ora, tra un autoscatto di rito, pranzo e pisolino, cominciai ad affacciarmi dalle rocce più grandi, in cerca di segnali di vita dalla natura più in basso. Incredibilmente l’orso era ancora lì, nella stessa zona di prima.
Ci dicemmo che era una fortuna sfacciata: incontrare un mastodontico orso marsicano due volte nella stessa giornata era un avvenimento indubbiamente eccezionale. L’orso non fece caso a noi e se ne andò lontano. Decidemmo allora di appostarci in prossimità di due grandi pozze d’acqua. Là aspettammo con pazienza, nascosti tra le rocce e invisibili grazie al camouflage. L’attesa fu premiata con la comparsa di ben trentacinque cinghiali. Si raggrupparono nei pressi della pozza d’acqua, a qualche metro dalla nostra postazione. I piccoli giocavano e quando creavano troppo scompiglio i più grandi li rimproveravano grugnendo. Una coppia era rimasta sola nell’acqua. Nicolò ed io assistemmo all’inizio di un vero e proprio corteggiamento. Li osservammo affascinati e in preda ad una sensazione di strano rilassamento: erano buffi e sembravano assumere atteggiamenti a tratti amorevoli gli uni verso gli altri. Tutto d’un tratto però i mammiferi iniziarono a spargersi nella valle, ognuno in direzione diversa. Un cucciolo di cinghiale era arrivato a dieci metri da noi e la mamma, che ci identificò, poco dietro. Dentro di me pensai: “Ci risiamo!”. Sapevo che avrei dovuto tirarmi fuori da quella situazione in modo franco e neutro. Mi mostrai dunque indifferente nei loro confronti e cercando di rimanere il più rilassato possibile. In fondo non stavo lì per far loro del male ma per ammirarli e condividere parte della loro giornata. Non ero una minaccia e il mio linguaggio del corpo doveva riuscire a comunicare queste intenzioni. Dopo qualche secondo la mamma grugnì, chiamando a raccolta il cucciolo e lanciando un allarme agli altri membri, che si allontanarono parzialmente dalla nostra zona. Seppi quindi di essere riuscito a gestire la situazione in modo consapevole e pacato, nonostante l’ennesimo incontro ravvicinato potenzialmente pericoloso. Tutto ciò costituì un’interazione molto forte e una lezione importante, quel giorno.
Rimanemmo appostati fino al tramonto, godendoci l’atmosfera serena e pacifica, dopo aver ammirato cervi e cinghiali condividere gli stessi spazi rispettosamente. Rientrammo tardi alla macchina. Sapevamo di avere vissuto qualcosa di magico incontrando una specie così rara e affascinante come l’orso bruno Marsicano. Tutto questo in solo poco più di ventiquattr’ore immersi nelle terre selvagge abruzzesi. Non potevamo chiedere di più. Writer: @ Mattia Cialoni Editor: @ Maria Costanza Boldrini